Umberto Eco – 40 regole per parlare (e scrivere) bene l’italiano
A quasi due anni dalla scomparsa di Umberto Eco, riproponiamo su Unipro Academy le 40 buone norme per rendere agevole e piacevole il proprio stile di scrittura: come scrivere bene in italiano!
Umberto Eco nasce ad Alessandria nel 1932. Dopo la maturità classica nel paese natale, nel 1954 si laurea in filosofia con una tesi su San Tommaso d’Aquino, dal titolo Il problema estetico di San Tommaso, ed inizia a occuparsi di filosofia e cultura medievale. Entra in RAI attraverso un concorso nel 1954, venendo assunto insieme ad altri giovani intellettuali per trovare nuove idee per programmi televisivi, e lascerà poi l’impiego alla fine degli anni ‘50. Nel stesso periodo, collabora con diverse riviste letterarie, tra cui “Il Verri”, attorno alla quale si raduna il nucleo originario del “Gruppo 63“, cui poi Eco parteciperà attivamente. Nel 1959 Eco diventa condirettore editoriale di Bompiani, casa editrice milanese, fondata alla fine degli anni ‘20 e con cui Eco inaugura un lungo sodalizio culturale ed intellettuale.
Per chi scrive, Umberto Eco, è stato una sorta di illuminazione. Non voglio dire che mi ispiro a lui, che scrivo come lui, non mi permetterei mai … semplicemente affermo che le prime parole messe ordinatamente in fila che ho amato sono state le sue, grazie Mamma per quella copia economica de Il Nome Della Rosa. Oggi, a quasi due anni dalla sua scomparsa, vogliamo riproporre sul contenitore di idee di Unipro Academy le 40 buone norme che un bravo autore deve rispettare per rendere agevole e piacevole il proprio stile e sopratutto per parlare e scrivere bene in italiano.
-
Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
-
Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
-
Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
-
Esprimiti siccome ti nutri.
-
Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
-
Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
-
Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
-
Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
-
Non generalizzare mai.
-
Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
-
Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
-
I paragoni sono come le frasi fatte.
-
Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
-
Solo gli stronzi usano parole volgari.
-
Sii sempre più o meno specifico.
-
L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
-
Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
-
Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
-
Metti, le virgole, al posto giusto.
-
Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
-
Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
-
Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
-
C’è davvero bisogno di domande retoriche?
-
Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
-
Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
-
Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
-
Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
-
Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
-
Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
-
Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
-
All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
-
Cura puntiliosamente l’ortograffia.
-
Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
-
Non andare troppo sovente a capo.
-
Almeno, non quando non serve.
-
Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
-
Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
-
Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
-
Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
-
Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
-
Una frase compiuta deve avere.
Regole tratte da: Umberto Eco, La Bustina di Minerva, Milano, Bompiani, 2000
Giornalista, Fotoreporter, Copywriter, Blogger, Web Writer, Addetto Stampa per giornali, riviste, enti pubblici e blog aziendali. Provo a descrivere il loro mondo e le loro storie, le loro passioni e le loro idee. "Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto; è quanto mi hanno dato al posto di un fucile" P.R.